L’attualità della santità in don Enzo Boschetti dr.ssa Francesca Consolini, postulatrice
Il santo è colui che vive per attualizzare nell’oggi la Volontà di Dio.
Don Enzo ha realizzato questo attraverso un cammino di comunione e di sofferenza con Cristo.
Per parlare di santità occorre comprendere bene cosa significhi essere “santo” e chi è il “santo”. Quando si incomincia ad indagare sulla vita di un probabile, futuro santo non si guarda mai alla grandezza delle opere che ha lasciato; non è l’essere stato un fondatore, un missionario, un predicatore, l’aver costruito ospedali e lebbrosari, aver dato vita ad una comunità religiosa, aver passato la vita nella preghiera e nella penitenza che costituisce la santità. Essere santi significa semplicemente fare la volontà di Dio momento per momento, così come Egli ce la indica attraverso le mozioni dello Spirito Santo che parla nel nostro cuore. Essere santi significa soprattutto saper ascoltare questa voce che ci richiama, ci indirizza, ci guida; significa sviluppare al massimo le potenzialità della nostra anima, quella forza verso il bene immessa in noi con il Battesimo; ricevendo questo sacramento tutti noi siamo “santi” in potenza, siamo cioè chiamati, come ci insegna la Chiesa e come ha ribadito il Concilio Vaticano II nella Costituzione Apostolica “Lumen Gentium”.
Santi non si nasce, lo si diventa giorno per giorno con fatica, cercando di superare i limiti della nostra natura, del nostro temperamento; la santità, infatti, non violenta mai la natura, ma fa leva sui lati positivi del temperamento umano, anche su quelli che potrebbero essere negativi, per raggiungere il bene. Così potremmo dire che si diventa santi, nonostante noi stessi. Basta lasciare libero spazio alla grazia, lasciarci lavorare da lei, stare in ascolto e operare di conseguenza.
In questo cammino verso la santità si vivono momenti di grazia, ma anche momenti di lotta, di tensione e di sconfitta; quello che conta è andare avanti sempre, nella certezza che non si cammina da soli, ma sostenuti dalla grazia di Dio il quale non ci chiede mai alcunché che vada la di là delle nostre capacità.
La frequenti beatificazioni proclamate da Papa Giovani Paolo II hanno questo significato: additano all’uomo di oggi modelli sempre nuovi ed attuali di santità, nei quali ognuno, con la sua storia, i suoi limiti ed i suoi slanci, può ritrovarsi; non è un’inflazione di santità, è una catechesi profonda e mirata con la quale la Chiesa Madre e Maestra addita ai suoi figli il cammino già percorso da altri fratelli e sorelle che, come noi, hanno lottato, sofferto, gioito, lavorato per il Regno di Dio e ne sono diventati i testimoni.
In questo quadro si inserisce anche la figura di don Enzo; non occorre essere già arrivati alla canonizzazione per parlare di santità; rifacendosi al discorso di prima possiamo già dire che don Enzo è stato un “santo” perché ha cercato la volontà di Dio, ha cercato di capirla nelle contraddizioni della sua vita, di seguirla con slancio, nonostante i suoi limiti umani, di vederla nei fratelli soprattutto nei giovani disagiati che gli passavano accanto. Don Enzo ha vissuto la volontà di Dio a volte con profonda sofferenza, toccando con mano la propria umanità, fatta anche di piccolezza, di cadute, di fallimenti.
Dopo molti anni di lavoro e di impegno a favore dei fratelli, degli ultimi, don Enzo scriveva nel suo Diario:
“Vorrei avere più coraggio ed essere più sereno e abbandonato alla volontà del Signore, invece più vado avanti negli anni e meno sono disponibile a fare la volontà di Dio. Sì la faccio la volontà di Dio, ma con tanta difficoltà. Mai come ora soffro per la sofferenza degli altri. Vedere una persona che soffre e non fare niente, è per me un martirio. Anche questo serve alla mia purificazione interiore”. Il Santo è l'uomo che cerca la volontà di Dio, sempre, con costanza, con immutato coraggio, con fatica, con sofferenza.
Non voglio parlare del don Enzo ufficiale, del don Enzo che molti di voi hanno conosciuto personalmente e del don Enzo fondatore della “Casa del Giovane” che tutti vediamo, della quale apprezziamo la continuità ed il servizio. Vorrei invece far parlare il don Enzo intimo, il “santo” che ogni giorno, anche con sofferenza, si raffrontava con la volontà di Dio.
Vorrei partire da alcuni pensieri scritti a Villa S. Cuore nel luglio 1967; è un momento di silenzio e di preghiera durante il quale don Enzo si trova a tu per tu con Dio e traccia un bilancio della sua vita: il tanto amore ricevuto da Dio, la sua corresponsione; ne emerge il desiderio, o meglio, la volontà assoluta di essere solo di Dio e in questa appartenenza assoluta, senza compromessi, cercare ed amare il fratello: "Sì, Gesù, da quando ti ho trovato dall'età di 17 anni circa, qui in questa casa benedetta, ti ho sempre cercato, ma cercando anche me stesso. Ti ho sempre amato, e come potevo non farlo? Ma ho amato anche la mia gloria. Avevo e ho troppa paura di perdermi in te, di scomparire, e invece sento che la mia vita è morire, che il mio apostolato più fecondo è ritrovarti per ritrovarmi per ritrovare coloro che hanno sete di te, o Sommo Bene".
Don Enzo, come tutti i santi, avverte l’enorme divario fra l’amore di Gesù per l’anima e la propria corresponsione; per questo in molti scritti di santi, per es. in S. Teresa d’Avila e in S. Giovanni della Croce, che furono suoi maestri di spirito, troviamo espressioni molto forti circa il proprio peccato e la vita passata condannati con parole a volte dure: “Consideriamo la grande misericordia e la pazienza di Dio - scrive S. Teresa - che non ci sprofonda sull’istante” (Mansioni, III, 3).
Santi che ai nostri occhi hanno operato meraviglie di carità, giudicano e condannano il loro operato come insufficiente, limitato, viziato dal peccato.
Più un’anima si avvicina a Dio e si innamora di Lui, più ne coglie la grandezza ed avverte la propria miseria; più percepisce il suo limite e più canta la misericordia di Dio; più coglie l’Amore, più sente il limite del suo amore.
"Sentivo tanto il bisogno di questi giorni di preghiera e di silenzio. Sempre ho sentito questa necessità di stare con il Signore, ma purtroppo mi lascio divorare dal lavoro e dal servizio che incalza momento per momento. Purtroppo mi accorgo che il mio è un attivismo senza anima e senza amore perché senza il Signore. È questo un male che mina alla radice tutta la mia vita sacerdotale e mi trascina continuamente a tremendi compromessi.
Due fatti sono costanti nella mia povera vita: il primo si chiama il purtroppo e tremendo peccato, che mi umilia e blocca in tutto un disegno di amore di Dio. Il secondo fatto si chiama misericordia. Il Signore mi dona grazie a non finire nonostante la mia tremenda miseria, grande e assurda miseria”.
In questa ottica tutto è grazia e dono: "Sono tutte grazie grandi - scrive don Enzo ripensando ad alcuni avvenimenti lieti ed importanti della Comunità - che mi dicono come Dio mi perseguita con il suo Amore e con una Provvidenza sbalorditiva. Non vorrei più condurre una vita così povera e squallida di Amore. So benissimo che tutto il mio male di peccato è causato da una mancanza di amore e di vita interiore e di preghiera. Ritorno alla nostra cara Comunità con il desiderio vivissimo di impegnarmi in una vita di preghiera e di fraternità con l'aiuto del Signore Gesù e della Vergine SS. nostra Madre" (Santuario Madonna del Pozzo, S. Salvatore Monferrato, 7 ott. 1989).
I santi sono a volte spietati nel giudicare se stessi e il loro operato; nel diretto confronto con l’Amato non hanno paura di mettere a nudo la propria miseria e il proprio limite. Davanti a Dio nella nudità della verità don Enzo scrive: “La preghiera. la preghiera sempre, continuamente, con insistenza, con forza, con grande amore, con immensa speranza, la preghiera con tutto il bagaglio della mia sofferenza, dei miei peccati, del mio avvenire, delle mie gioie. La preghiera per me è tutto, senza la preghiera sono una terribile nullità, un malvagio, capace solo di nullità. Gesù aiutami a ritrovarti, a ritrovare me stesso, il mio peccato, la mia pace davanti a te, davanti al tuo tabernacolo, al tuo crocifisso, durante l’orazione, con il tuo silenzio che riempie la mia povera anima” (Certosa di Pavia, 13 gennaio 1970).
“Che senso avrebbe la mia vita - si chiedeva don Enzo - se non fosse sulla lunghezza d’onda del Vangelo?” (Diario 1989, 6 gennaio).
Da questa analisi senza mezzi termini e senza pudori, senza auto giustificazioni, rinasce il desiderio forte, ardente di sentirsi uniti all’Amato, di ritrovarlo nella profondità della propria anima, di ascoltarne la voce nel silenzio della contemplazione e della preghiera: “Perseguitami con il tuo Amore - scrive don Enzo - che non trovi mai pace nei beni di questo fugace mondo, ma in te solo. Amarti sempre Gesù, amarti sempre per non morire più. Sì vorrei amare tutti, amare sempre, perdonare sempre, ringraziare sempre, confortare sempre” (Certosa di Pavia, 13 gennaio 1970).
“Ti chiedo, o Gesù la sola gioia della preghiera, amarti nella preghiera, amarti nella sofferenza, amarti nel silenzio. Amarti sempre quando sarò dimenticato e disprezzato da tutti. Ti chiedo, o Gesù, la grazia della preghiera, la grazia di un profondo silenzio interiore, la grazia di soffrire quando tu soffri per i miei peccati, per tutti i peccati” (Certosa di Pavia, 29 gennaio 1970).
Non deve stupire questa ultima invocazione; chi ama desidera assimilarsi all’Amato e l’amore alla Croce contraddistingue i Santi; non si tratta di autolesionismo, ma di condividere il mistero della Redenzione, sentirsi vicino a Gesù che ha accettato la Croce per amore nostro; anche l’accettazione amorosa e non passiva della Croce è fare la volontà del Padre, anzi è l’atto che più assimila al Figlio.
Don Enzo sentiva questa urgenza di amare Dio in concreto, aveva capito la preziosità nascosta della Croce e il valore redentivo di ogni sofferenza: materiale, morale, fisica, spirituale. Lo aveva capito a tal punto di sentire il peso delle giornate senza sofferenza, senza questa compartecipazione alla vita di Gesù, senza questo morire che diventa vita e produce Amore.
Scrive: “Ancora tante amarezze perché il mio tempo è passato povero di bene e pesante di peccato. Mi sento vecchio quando la sofferenza, l’implorazione, la speranza non accompagnano il mio giorno. Senza sofferenza mi sento senza amore, senza vita, senza Dio. Gesù aiutami a portare la Croce per sentire in me un grande Amore per Te” (Certosa di Pavia, 2 gennaio 1971).
E ancora: “Sono giorni di grande amarezza con i quali sto sperimentando il dolore del fallimento: se il chicco di frumento non marcisce non porta frutto [...] Non pensavo di dovere soffrire così tanto. Sembra di dover dire che più si amano i fratelli, i giovani e più si deve soffrire. Ebbene: “Ave Maria e avanti!” Soprattutto con queste sofferenze sento che un po’ della vita del Signore Gesù, della sua sofferenza, della sua grazia e della sua Resurrezione entrano nella mia povera vita e l’Amore prende vita e la vita si fa amore. Grazie Gesù!” (Focolare Valle Cima, 23 dicembre 1980).
Nella luce dell’amore per Cristo così totale ed assoluto è la ragione dell’amore per il prossimo; quando si studiano le virtù di un Servo di Dio, si parla di carità verso Dio e carità verso il prossimo; dalla prima scaturisce la seconda; sono le due facce dell’Amore come ci ha insegnato Gesù:
“Non si può amare Dio che non si vede se non si ama il fratello”(cf. 1Gv 4,20).
E in questa ottica di amore soprannaturale si è mosso anche l’amore di don Enzo verso i poveri, i giovani, gli ultimi:
“Ho lavorato molto per i poveri - scrive nel 1977 - per i giovani disadattati, ma con quanta fragilità di amore e di purezza! Ho incontrato miserie a non finire, direi che sono stati anni presi nel vortice della miseria umana. Gesù benedetto mi ha fatto incontrare e mi ha fatto ospitare qualche centinaia di giovani martoriati dalla povertà materiale e spirituale più ancora. ma quanta ambiguità nel mio comportamento! Eppure Tu lo sai che li amo perché Ti amo o Signore! [...] Altre cose, Signore, vorrei fare perché vorrei amarti e farti amare sempre più, perché vorrei che tanti poveri ti amassero [...] Per Gesù, per i poveri voglio consumarmi come il grano di frumento, la semente del Vangelo [...] Gesù aiutami. Vieni Signore Gesù!” (Eremo O.C.D. Tosi. Campiglioni Firenze, 23 - 29 gennaio 1977).
I Santi però non sono statici, sono uno stimolo per noi, un invito sempre nuovo ad amare; per questo voglio concludere con uno degli ultimi scritti personali di don Enzo del febbraio 1993, qualche giorno prima della sua morte: ci lascia un interrogativo al quale ognuno di noi può rispondere nel silenzio della propria anima, davanti al tabernacolo, dove lui aveva vergato queste righe con una grafia che rivela la sofferenza fisica di quei momenti:
“Gesù, Gesù umile che trovi con la tua morte in croce mille modi di sconfessarmi, con le tue atroci sofferenze in croce, aiutami a sconfiggere quella non umiltà che si chiama autoesaltazione dell’amore. Sì. dopo tanti anni finalmente ho trovato l’Amore. Il Dio immenso, umanato, storicizzato, annichilito nell’incomprensibile e ineffabile mistero eucaristico, trova ancora tra noi, i nascosti contemplativi bramosi ed ardenti di adorazione?”.